appena nato dalla parte di sotto, questo blog è un inno alla parte sbagliata. quella che riguarda un po' tutti, bene o male. ma senza pretese

mercoledì 7 maggio 2008

Il giardino delle quindici pietre

Franti è il cattivo del libro Cuore, quello che rompe i vetri a fiondate. Così si presenta la cult band torinese nella scena punk italiana all’inizio degli ‘80. Con una poesia profonda intrisa nei testi e una miscela di punk, folk, jazz, hard-core e sperimentazioni ad accompagnare la voce irraggiungibile di Lalli.
Il Giardino delle Quindici Pietre è una storia trovata in giro, un luogo realmente esistente di cui nessuno ricorda i particolari. Ma è anche il romanzo mai finito di Stefano Giaccone dalla cui non fine nasce il disco, nelle sue uniche 1550 copie in vinile.

Un disco contaminato, rock per gli autori, in cui la polivalenza dei singoli costruisce un percorso misto, di poesia, recitazione e musica.
Cosa si nasconde nell’opera? Qual è la pietra che sfugge?
Un sottile filo di mistero perso in un senso di irraggiungibilità e irrealtà permeano questo album onirico. Dodici brani recitati e suonati scivolano in un letto di fiati-piano-parole-corde tirate all'estremo che si portano via i detriti dei nostri grovigli mentali. Tutto comincia con “Il battito del cuore”, rock-steady antico in cui i versi recitati da Lalli affiorano come un risveglio dall’inquietudine. Si prosegue con lo psycho-rock di “Acqua di Luna”, colonna sonora del video “Untreu” di Mimmo Calopresti e Claudio Paletto. “L’uomo sul balcone di Beckett” è un macigno scagliato dalla voce di Lalli verso i nostri animi intenti ad ascoltare versi, come ho sognato di sentire una chiave aprir la mia porta. “Every time” è un acid-blues che sfuma a fine lato A per riprendere quando giriamo il disco. Seguono brevi secondi di tributo ai Negazione, altra cult band dell’underground d’epoca. E ancora “Hollywood Army”, heavy-punk al modo dei Kina (l’altro gruppo dei primi vagiti punk italiani, insieme ai CCCP), con il suo seguito naturale “Big Black Mothers”, racconto hard-core in italiano e inglese. “Micro’ Micro’” ed “Elena 5 e 9” sono spazi per gli assoli di Lalli e del suo strumento-voce e di Giaccone che sembra smontare il sax procurandoci un brivido. L’ultimo brano recitato è “Nel giorno secolo”, marcia musicata di una poesia di Mario Boi a cui fa seguito “A suivre” che chiude il capolavoro con un duetto armonioso di piano e trombone.

Dopo l’ultima nota, quando il braccio meccanico ritorna in posizione off e il vinile si ferma, quando è girata l’ultima pagina del libro di poesie-racconti-testi-disegni b/w, che fa da contenitore e contenuto stesso dell’opera, quello che aleggia nell’aria è un pensiero, la quindicesima pietra che appare, un desiderio di scappare …via, lontano da qui.



















Il Giardino delle Quindici Pietre (Franti)
Blu-Bus/p.e.a.c.e. - 1986

il battito del cuore
acqua di luna
l’uomo sul balcone di beckett
every time … da Attica …
every time … a Soweto
ai “negazione”
hollywood army
big black mothers
micro’ micro’
elena 5 e 9
nel giorno secolo
à suivre


Il giardino delle quindici pietre è un luogo realmente esistente di cui però non ricordiamo più la storia nei suoi particolari né come l’abbiamo appresa.

In Giappone, nel periodo medioevale, un imperatore volle far progettare e costruire un giardino nella sua residenza, dall’architetto più famoso del paese. Dopo innumerevoli anni di lavoro l’architetto fece chiamare l’imperatore comunicandogli che il giardino era stato ultimato. L’imperatore rimase sconcertato: chiuso in un perimetro rettangolare in muratura, un piccolo giardino verdissimo era tutto il risultato di anni d’attesa. Sparsi però per il giardino vi erano dei massi enormi, conficcati nel terreno. L’architetto propose all’imperatore di contare le pietre. “Sono quattordici” egli rispose. Si spostarono poi in altri punti del giardino ed ogni volta l’architetto chiedeva al signore di contare le pietre. “Sono quattordici, ne sono sicuro”.
L’architetto prese allora un gesso ed iniziò a numerare i massi. Alla fine se ne contarono quindici. L’architetto spiegò al re che aveva posizionato i massi in modo tale che, da qualunque parte li si osservasse, se ne scorgevano solo e sempre quattordici, uno di meno di quelli realmente presenti.
(Storia trovata in giro)

1 commento:

sull’amaca.it ha detto...

Grazie bel post, anch'io amo e rispetto i Franti, ciao.