Pubblico un contributo di Damiano Franzetti (alfiere del rione Martitt) che spiega bene cos'era il Palio di Gemonio.
La scorsa primavera, uscendo dalla Sagra degli Asparagi, mi sono imbattuto in un gruppetto di persone che non ho riconosciuto per l’oscurità. Una voce spiegava alle altre: «Quello è il campo sportivo. Quando c’era il palio era il centro delle gare, era pienissimo di gente. Mi ricordo la “Torre di Babele: un ragazzo la costruiva con i mattoni, tre la difendevano, e gli altri dovevano abbatterla con i gavettoni, che spettacolo!»
Già, che spettacolo, Gemonio negli anni ’80. Lo aspettava tutto il paese, il Palio. A giugno (o a settembre a seconda delle edizioni) spuntavano dai balconi, dalle ringhiere, dalle finestre, le bandiere dei quattro rioni: Martitt giallo-verde, Mirabella giallo-rosso, Piazza bianco-azzurro, San Pietro verde-nero. Gli stessi colori iniziavano a fare capolino anche sugli striscioni tesi tra gli alberi, i pali della luce, le cancellate, messi lì a fare la guardia ai confini della propria contrada. Quei confini che a volte erano veri e propri motivi di conflitto tra i responsabili di rione durante le riunioni che precedevano la kermesse organizzata – è doveroso ricordarlo -dalla Pro Loco.
L’attesa. Tutto iniziava un mese prima: il campo sportivo era a disposizione di tutti, a rotazione; ogni rione faceva la conta dei propri concorrenti con un criterio prevalentemente basato sull’età dei partecipanti. Sembra di sentirli ancora oggi, i responsabili, davanti agli spogliatoi con una lista di nomi e date: «Martedì alle sei chiamiamo gli “under 11”: bisogna contare quelli per il calcio e scegliere quelli per la corsa nei sacchi. Ricordatevi di dirlo anche a quel bambino nuovo che è andato ad abitare nella casa del…». Poi c’erano gli allenamenti per gli adulti, che qualche volta “sfidavano” le squadre dei paesi vicini per meglio prepararsi agli incontri che contavano davvero, quelli del Palio.
Si gioca. Per aprire il Palio c’era la sfilata: i ragazzi calavano dai quattro angoli del paese rigorosamente dietro al labaro “ufficiale” con l’asta di metallo e la freccia decorata. Uno dei quattro cortei era di solito quello più guardato, con un misto di invidia e sfida da parte degli altri tre: il corteo che riportava al paese il Palio, la coppa. «Il Palio è nostro, e nostro resterà!» gridavano gli uni. «Vedremo» replicavano gli altri. E poi via: due settimane di giochi, gare, corse, sfide; due settimane di adrenalina che percorreva il paese intero visto le centinaia di persone di ogni età presenti intorno al campo sportivo, pronte a sperare in un gol, in uno sprint vincente, in un uovo lanciato (e preso) più lontano degli altri. E se gli sport veri e propri servivano ad accendere le rivalità agonistiche (certi incontri di calcio e pallavolo erano veri e propri eventi), i giochi rappresentavano la parte più popolare ma anche quella più imprevedibile del Palio. Vi ricordate la “Torre di Babele”, lo “Spalma e mangia”, il “Taglio del tronco”…?
Tutto durava fino alla serata conclusiva, la più lunga, la più attesa, quella in cui tutto poteva accadere. Sei, sette specialità una dopo l’altra; calcoli in tempo reale tra i tifosi, delusione per un “jolly” giocato male, fino ai calci di rigore femminili che hanno spesso concluso la manifestazione. Poi tutti schierati davanti al tavolo delle premiazioni, ognuno a ritirare una coppa per la gymkana o un trofeo per il vestirello, fino alla proclamazione del vincitore. Che dava il via ad una nottata di festeggiamenti cui comunque partecipavano anche gli sconfitti, costretti a subire il carosello di auto, moto e biciclette del rione vincitore. E anche qui mi tornano in mente alcuni festeggiamenti insoliti, a bordo ad esempio di un originale “cab” inglese (Martitt, 1985) oppure di una ondeggiante “2 cavalli” (Mirabella 1995). E al termine del rinfresco nel proprio rione era d’obbligo la visita ai vincitori, ben contenti di offrire da mangiare e da bere agli sconfitti.
E poi… Se il Palio era il momento centrale, l’attività dei rioni e della Pro Loco a Gemonio non si fermava qui. Il carnevale con i suoi carri, il Natale con luminarie e presepi, le cene sono stati momenti che per fortuna in parte sono ancora vivi. Alcuni rioni hanno partecipato per anni alle sfilate carnevalesche anche lontano da Gemonio riscuotendo consensi, in altri si ricordano ancora le cene del dopo-palio che radunavano in piazza oltre duecento persone. Su seicento “contradaioli” censiti: come se oggi a Gemonio si facesse una cena con novecento commensali contemporaneamente…
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