appena nato dalla parte di sotto, questo blog è un inno alla parte sbagliata. quella che riguarda un po' tutti, bene o male. ma senza pretese

sabato 31 maggio 2008

Psychopensieri

Quest'anno forse non farò le ferie, nel senso che me ne starò in questa terra di provincia a soffrire l'afa durante i giorni di pausa dal lavoro. A parte che comunque mi sa che li passerò all'ombra della mia prossima casa a imbiancare, dunque un minimo di fresco (FORSE) me lo potrò godere, ma sta di fatto che per quest'anno niente mare. Magari una toccata e fuga in riviera con gli amici? Mi rivolgo agli sconvolti di quella che fu nominata "la vacanza dell'ammore" due-tre anni fa. Voi lo sapete, se ci siete battete un colpo (ma mi sa che c'è solo il franz).
Scrivo senza un senso, oggi è giornata così. Pensavo al gran sedere che abbiamo noi provincialotti varesini a vivere in zona laghi, tutto sommato. E' vero, quando ci si mette il clima ne combina di grosse, tra afa e piogge e allagamenti tipo negli ultimi giorni. Ed è vero anche che siamo dei campagnoli un po' megalomani, però un po' di invidia secondo me la facciamo venire quanto meno ai milanesi, e di sicuro agli svizzeri tedeschi. Non so come facciano a lanciarsi per le strade sulle bici con le borse a fare da zavorra, e a farsi il giro del lago senza battere ciglio.
Io l'ultima volta che ho pensato di fare un giro in bici avevo ancora il casco di banane in testa (mia capigliatura psycho-beat post-adolescenziale). Diego "Flos" mi stava quasi per convincere a partire per Berlino con la mountain bike, "tanto dopo le Alpi è tutta pianura"... Poi ce la saremmo fatta in treno, al ritorno. Mah, se ci penso tutto sommato mi spiace averlo mandato a cagare. Con il sorriso sulle labbra, si intende. Grande Diego, se leggi, fatti un'altra risata. No, per quest'anno niente ferie e niente bici, magari un po' di lago? Neanche per idea, a stare sulla spiaggia si soffoca e rinfrescarsi nelle acque del lago è da film horror, non passano gli squali ma la merda sì. Non faccio il bagno nel lago da almeno 5 anni (l'ultima volta fu a Caldè, località che qualche pazzoide ha definito "la Portofino del Lago Maggiore" sulle riviste da parrucchiere), poi ho scoperto che di fianco c'era lo scarico delle fogne. Scusate per il post mi rendo conto dello schifo, ma mi è venuto così e dato che ho scritto in presa diretta con i miei psycho-pensieri lo lascio. Ma non sprecate commenti, non ne vale la pena........
.......Davvero, via quelle manine........
.....................
.......Chiudo.

venerdì 30 maggio 2008

Furia, il mago

Cosa puoi fare quando sei stufo di startene in seduta forzata su una sedia di legno? Ad esempio puoi pregustare l'aria che tira fuori, ficcare il naso dritto nell'anticamera della tempesta che sta venendo a prenderti.
Sarà grandine, lo ha detto Furia, il metereologo.
In effetti, se guardo a nord est, c'è una coltre grigio asfalto nel cielo e pare che non porti buone nuove. Tra l'altro oggi è giornata di lutto in paese, un ragazzo ha deciso di farla finita ed è in programma il suo funerale. Giornata triste e cupa. Il vento che scuote gli alberi sulle colline, aria pesante-umida-solida ci schiaccia per terra.
Rimango a guardare la coltre scivolare non molto più in alto delle case, sembra che voglia inglobare tutto, alberi, antenne, comignoli. Qualcuno è ancora fumante e siamo al 30 di maggio. Ho deciso di riprendere questa piccola porzione di apocalisse con la mia fotocamera e di riguardarmela quando sarò felice. Ci colpiranno coltelli di pioggia. Ci lapiderà. Milioni di sassolini ghiacciati si incaglieranno tra gli alberi, faranno un colabrodo di questa nostra terra indifesa.
Mi piacerebbe vedere questo mio panorama in bianco e nero improvvisamente cristallizzato, come in un incantesimo del mago cattivo. Come in una fiaba nera, con la regina dal largo mantello a riderci in faccia per il nostro stupido destino. Inutili fantocci da accendere e spegnere senza un criterio, senza una logica prendiamo vita e in un soffio ci pietrifichiamo.
Il cielo ci lapida, ma solo per qualche momento prima di sciogliersi con pietà in un pianto dirompente. Ma nonostante lo sfogo, non dura poi molto. Qualche minuto di rumore, un po' di aria fresca, nemmeno un fulmine da antologia. Spengo la fotocamera e mi rendo conto che intorno, tutto sommato, non è cambiato granchè. Tutto il colore è spento, ma la realtà è ancora drammaticamente viva. C'è uno squarcio di cielo nel punto in cui tutto è iniziato e ho il presentimento che presto volgerà al bello.
A volte anche Furia ha cattivi presagi.

mercoledì 28 maggio 2008

A Ja Ljublju SSSR

Affascina prendersi mezza giornata di ferie e decidere di fare quello che ti pare, almeno per un pomeriggio. Così lascio il cancello del lavoro con poca fame fisica e il desiderio mentale di andarmene. Prendo la strada che porta a Milano, chilometri di asfalto verso una meta incerta. Chissà se verranno. L'appuntamento è in libreria, ci arrivo dopo un'ora di macchina, un viaggio soffocante nel sottosuolo e una serie di vagabondaggi vitali dalle parti del centro. Sono in libreria, la musica non manca come l'aria. Trovo uno spazio, ancora troppo piccolo per i miei gusti, adattato da qualche mano macabra a scaffale per vinili. Affondo le dita e scorro una ristampa dopo l'altra a 30 euro minimo l'una. Me ne vado a cercare un posto vicino al palchetto in preallestimento, molto meglio così. Prendo una sedia a caso, un sorso d'acqua e aspetto.
Sono le quattro e mezza. Mi farà compagnia un libro di Delillo per le prossime due ore, ma fatico a leggere perchè troppo si muove nelle mie vicinanze. E poi c'è meno ossigeno che sull'Himalaya, penso. Altra sorsata. Respiri ripetuti, non sufficienti, ma me li faccio bastare da bravo animale in adattamento all'ambiente. E se potessi cambierei pure pelle per mimetizzarmi, vedere e non farmi vedere. Mi nascondi nel libro, Don? Leggo finchè posso, addormento gli occhi ogni tanto, li riapro e riprendo a girovagare. Non arrivano più questi CCCP.
Quando riprendo posto, c'è già una piccola ressa e questo vuol dire che non manca poi molto. Siedo dietro un anziano col bastone e mi chiedo se veramente saranno loro a parlare su quel palchetto. Una ragazza mi dice che ci sono sempre i presenzialisti, non se ne perdono uno di incontro. Come te, penso. L'anziano sonnecchia e mi è simpatico: mi va di credere che sia qui perchè li ha ascoltati nelle balere emiliane venticinque anni fa e gli sono piaciuti. La ragazza si è appropriata della sedia alla mia destra. E' seduta da pochi minuti e so già tutto di lei: è di Napoli provincia-insegna lettere alle medie-aveva un ragazzo delle mie parti ma ora non più e ha cambiato in meglio-le piace il jazz e in particolare un tipo che suona il contrabbasso-è del settantasette-vive a milano da cinque anni-si fa le canne-soffoca pure lei e mentre straparla si allenta la camicia sul petto-mi tocca pure una gamba-ci manca che mi dica il colore delle mutande-se le ha-se ti sentisse il vecchietto.
Quando finisco la bottiglietta d'acqua penso di non avere più scampo, il soffocamento mi avrà, ma improvvisamente la tipa chiude la bocca perchè lassù ha iniziato a parlare qualcun'altro ed è molto più interessante ed è Annarella a rompere il ghiaccio. Benemerita soubrette! Affascinante nel suo abito nero, senza i travestimenti crudi dell'esperienza sul palco. Che pure quelli erano chic, a modo loro. Scopro che dopo i CCCP ha viaggiato per l'India e di ritorno ha aperto un'erboristeria. Ora che sto scrivendo mi sono già preso la briga di visitarne il sito, cercate annarella giudici su google. Annarella la timida che cede alla poesia e ci regala alcuni versi del Ferretti assente giustificato, in sua vece. Annarella che alla fine mi parla mi sorride e mi ringrazia. Annarella che è umana e io che pensavo fosse inavvicinabile. Anche Zamboni è umano, Massimo al centro del palco che ci racconta della Berlino Est e del mondo CCCP che nasceva a Carpi e finiva a Vladivostok. E con la chitarra lui lo ha girato quel mondo, comprando abiti usati in Germania Est, raccogliendo tutto il rifiuto dell'occidente, pezzi di metallo insieme a Fatur per rendere loro omaggio sul palco, con una luce in grado di dare vita a quei ferri morti. Mi ha colpito quando ha detto che oggi è ancora possibile ritagliarsi uno spazio nell'arte, purchè lo si faccia mantenendosi umili e intelligenti e dedicandosi in pieno a quello che si vuole. Massimo che confessa che ancora oggi non studia non lavora non guarda la tivù non va al cinema e non fa sport come vent'anni or sono. Beh in fondo qualcosa fa, se è qui a parlare, ma tutto a modo suo. E di Fatur che dire: prima di tutto che è enorme! Se pensi ai muscoli del mimo che danzava sul palco, non ci puoi credere. Occhiali, cappello, pantaloni corti e anarchia rimasta stampata sulla pelle. Danilo ha fatto alcuni cd sperimentali e continua a suonare nei centri sociali, cavalcando rottami di macchine e di trattori, sudando e gridando e mantenendosi artista di un popolo che non vuole smettere di resistere. Gli artisti smettono di parlare, le domande dei curiosi si susseguono, gli artisti ci fanno ridere e ricordare quella musica. Chi ha avuto la fortuna di partecipare al concerto in cui ballarono nudi e che andò in prima pagina sul Resto del Carlino lascia la sua testimonianza, dopo si dà spazio al video di un live spensierato, di una ventina di anni fa quando era ancora lecito mischiare paranoia punk a walzer di rozz-emilia e parlare di islam nei brani, prima che tutto ridiventasse moda, occidente, paranoia.

lunedì 26 maggio 2008

Come un nuotatore nell'onda

Qualche giorno fa ho fatto visita ad Angelo in casa di riposo. Dalla collina si vede una gran fetta di lago e le montagne intorno devono sembrargli vicine come non mai. A volte passano i deltaplani, altre i traghetti, ma molto più in basso. Lui non si rende bene conto di dove sia, è arrivato da poco, comunque si è già abituato. E' chiaro, tutte queste cose che dico in realtà fanno parte di ciò che può essere concepito dal di fuori. Anche perchè Angelo non parla, sta zitto e guarda soprattutto. E' curioso. Ascolta poco perchè la testa, si sa, fa di quei gran giri a quell'età...ma è lo sguardo che è (quasi) sempre attento. O almeno così a me pare.
Io non lo so quale sia il potere dello sguardo degli anziani. Conosco anche un altro signore, molto più autosufficiente, che ha due occhi nerissimi e acuti, lui che ha visto di tutto nella sua vita perchè è stato in missione in Africa, e forse questo è il motivo per cui ha quel luccichio buono, quasi magico quando ti parla. Forse nel mondo che ha visto è riuscito a scovare tutti i dettagli che a uno sguardo normale sono invisibili e ne ha fatto tesoro. Così, insieme ai fuochi e ai soldati e alle ferite, ha visto elefanti e leoni e piante carnivore e onde spumose enormi e donne meravigliose e mani protese e l'indaco e il blu intenso e il viola mischiati nel cielo.
Anche Angelo è stato soldato e ha visto la neve di Russia. Ancora oggi non ha perso la forza che gli ha permesso di mantenersi vivo. Ha una solida stretta quando ti prende la mano per essere accompagnato. E poi cammina veloce, come se debba arrivare per primo da qualche parte che poi, in quella casa lassù, è il fondo del corridoio. A volte, guardandolo avanzare così deciso, penso a un nuotatore e mi immagino la piroetta che farà alla fine, quando avrà toccato la sponda.
Una piroetta funambolica e via, con tutto il corpo dentro a un mondo nuovo da esplorare. Così mi piace pensarlo, Angelo, come un nuotatore nell'onda.

domenica 25 maggio 2008

Personale: il fuoco

A volte ti svegli con un occhio che ha preso fuoco e non riesci a tenerlo nè aperto nè chiuso perchè ogni millimetro di movimento fa male. Non cerchi il motivo in dita sporche, in un'infiammazione. In coscienza lo sai, un umore malato si trasmette al corpo e lascia il segno nelle tue parti più deboli. Sei vulnerabile quando ti affacci nel giorno con una ferita aperta dalla sera prima, i tuoi occhi non hanno visto niente, hanno sprizzato ferocia. Non è bastato l'abbraccio di chi ti è più caro, nessuna lacrima ti è venuta in soccorso. Non hai la forza di gridare neanche una parola di sfogo dopo la crisi e dentro il tuo vuoto rimani da solo. Mentre sentivi i tuoi cani ringhiare, una sera, prima di concederti al sonno hai pensato: non è un posto per piangere.

sabato 24 maggio 2008

Riprendere Milano


Dopo un concerto come quello di ieri non è facile riprendersi e rimettere a posto i pensieri, ho tutto in testa ma non riesco a dirlo (cit. siete proprio dei pulcini che a me va di mangiare).
Con la lucidità che lentamente si fa largo, provo a buttar giù la scaletta che sicuramente è incompleta:

Naufragio Sull'Isola Del Tesoro - E' Solo Febbre - Ballata Per La Mia Piccola Iena - La Verità Che Ricordavo - Neppure Carne Da Cannone Per Dio -Tutti Gli Uomini Del Presidente - Pochi Istanti Nella Lavatrice - Punto G - I Milanesi Ammazzano Il Sabato - Tema: La Mia Città - E' La Fine La Più Importante - Riprendere Berlino - Oppio - La Sottile Linea Bianca - La Vedova Bianca - Tarantella All'Inazione - Orchi e Streghe Sono Soli - (PAUSA) - Voglio Una Pelle Splendida - Non sono immaginario - Bye Bye Bombay - Male Di Miele - 1.9.9.6 - Musa Di Nessuno - (PAUSA) - un pezzo con John Parish - altro pezzo con Cesare Basile - Bungee Jumping - Quello Che Non C'è

Collaborazioni d'eccellenza, un palco di luci psichedeliche e scenografia con i coltelli da massacro, l'addio del violinista Ciffo, Voglio una pelle splendida unplugged direttamente sulle gradinate, pezzi mai sentiti dal vivo tipo Oppio e Punto G. Appagamento totale per oltre 2 ore. Grandiosi questi Afterhours.

martedì 20 maggio 2008

Sardinia Blues

Se lo guardi in faccia, il ragazzo, sembra venire dal Guatemala.
Scuro di capelli e di pelle e di occhi. Di razza selvatica, come animale libero allo stato brado, vagabondo su un'isola.
E di isola si tratta, ma non è il Guatemala (peraltro terraferma), lontano anni luce, ma la Sardegna, e il suo romanzo di nome è Sardinia e di cognome fa Blues.
Potresti leggerla in poche ore, questa agile storia isolana, trasportato da una piena di poesia rock. Ma puoi anche decidere di godertene i passi, uno per uno, che si susseguono con la cadenza di un discorso interiore; passi da ragionarci sopra e gustarne la solitudine in cui puoi cadere, se non è il tempo quello che ti interessa.
A lui non importa la punteggiatura classica, ma non è un limite perchè i pensieri hanno poco a che fare con la grammatica. E i discorsi rubati nelle sere d'estate sul lungomare o nelle campagne o al bancone di qualche essenziale bar da sandali e sabbia, lui li riporta così come sono. Così frenetici, così esistenziali.
Non è la costa dei vip a fare da sfondo al romanzo, nè gli antri crudi della Barbagia, ma la provincia sarda, per gli isolani radice remota da cui fuggire via. In questa terra si balla, si vive con poco e si è giovani, ma solo d'estate. Il resto è claustrofobia e chi non ne ha più di coraggio per affrontare l'inverno se ne parte per Londra o per il Continente a cercare l'amore.
Il ragazzo ha un alter ego che di nome fa Davide e vive nel libro la sua lotta continua con la sua terra e la talassemia. Una storia di odio e di amore, multirazziale. E' di tutti il tentacolo isolano a cui sfuggire per rimanere giovani sempre, è di tutti il sangue che disseta il corpo dei talassemici.
E' un terreno arido, Sardinia. Dove l'amore e il sangue si fondono per dare fertilità. Amori per le ragazze Davide ne ha molti, quello più grande per la sua ballerina irlandese è finito. Amori che danno un senso ai trent'anni dei Pirati "Pani-Corda-Licheri", ubriachi persi nelle notti di provincia, reduci da improbabili fughe continentali, registi mancati e occupati solo a far diventare Oristano una piccola Buenos Aires dimenticata dal mondo e Villanova Truschèdu un luogo in cui scegliere di vivere e amare o di amore morire.

Sardinia Blues - Flavio Soriga
Bompiani, 2008
pp. 272
€ 16,00




lunedì 19 maggio 2008

Cover su cover

L'originale di una canzone 99 volte su 100 è meglio di qualsiasi cover. Però, nelle tre che vi propongo, i marlene ci mettono l'anima.

1) SIBERIA - Diaframma



2) IMPRESSIONI DI SETTEMBRE - P.F.M.



3) LA LIBERTA' - Giorgio Gaber

domenica 18 maggio 2008

Lettura libera

Secondo me non c'è motivo di sconsigliare una lettura, una lettura qualsiasi, anche se si tratti di bridget jones o dei romanzi harmony. Chissenefrega, la lettura è un gusto e se a me va una mattina di leggere topolino o federico moccia me lo leggo senza il bisogno che un silvioraffo o un andreapinketts di turno me la menino con fare snob. Sì è vero, dai classici bisognerebbe ripartire, ma non tutti (e parlo anche per me) se la sentono di portarsi al lago o tenersi in macchina un bel volume di Seneca o Cicerone da sfogliare nei momenti di relax. Piuttosto, sarò io lettore che nel momento in cui ne sentirò l'esigenza metterò le mani con lucido raziocinio a un'opera classica o a un libro impegnato. E sarò sempre io lettore (e non tu critico-intellettuale-letterato) a rendermi conto di subire un'influenza negativa da ciò che sto metabolizzando e, solo allora, chiuderò Moccia per aprire Dostoevskij. Che poi dalle cattive esperienze si ottengono i frutti migliori, secondo me. Tutto chiaro?

sabato 17 maggio 2008

Rom, città chiusa

I film di Kusturica sono favole colorate in movimento, storie di umanità grezza portate ai nostri occhi come un ricordo di realtà che non avremmo mai creduto potesse raggiungerci. Parlo del punto di vista di chi, come me, è abituato a vivere in un luogo "moderno", "pulito", "civilizzato", in una parola "occidentale". Nei film di Kusturica si crea una vera e propria confluenza tra l'oriente europeo dei popoli gitani e l'occidente. I personaggi sono ritratti nel loro mondo, spesso mischiato alle contaminazioni provenienti dall'esterno delle loro "riserve". Così, nelle baracche, ai bordi dell'immenso Danubio marrone, sulle strade polverose dove corrono branchi di oche e maiali divorano carcasse d'auto abbandonate, in questo spaccato di realtà che a noi, plebe d'occidente, può anche sembrare immaginaria, fanno irruzione i soldi, i trafficanti di droga, i venditori di vergini per matrimoni d'affari; e i violinisti liberi, gli stessi che nelle città nostre riempiono vagoni sotterranei, se ne stanno in disparte, nelle loro riserve, lasciando aperto lo spazio a tutte queste contaminazioni, lasciando libero il nostro più gretto occidente di venirsi a prendere un pezzo del loro Danubio. Tutto ciò mi sovviene per simpatia e gusto verso il cinema di Emir e anche per disprezzo verso i discorsi vuoti portati alle bocche di chi non sa andare oltre il proprio egoismo, in queste giornate tristi, umide e italiote che ci intasano il mondo.

venerdì 16 maggio 2008

Piuttosto umidiccio

Che sapore ha una giornata uggiosa? Non molto buono, direi, più che altro amaro, dato che c'è del Dentosan nel mio cavo orale. E' una settimana che mi ungo il palato con questa sostanza verde causa dolorosa estrazione dentale. Spero sia l'ultima, a) perchè il Dentosan mi fa ribrezzo e annerisce lo smalto, b) perchè un dente in meno crea non pochi problemi, primo fra tutti quello psicologico. Constatazione thriller: me ne restano 31. Anzi no, constatazione agghiacciante: alcuni mi sono stati estratti durante l'adolescenza (con la scusa del gelato...), perciò non arrivo a 30. Che dramma. Ma cosa c'entra con la pioggia che scende a catinelle oltre la finestra? Poco, forse è l'umidità che fa inceppare i circuiti. C'è anche dell'elettro-music diffusa nella stanza, mi fa precipitare in uno stadio pre-robotico, un corpo che ascolta la pioggia cadere a ritmo di bunz bunz elettronici. Doris Norton - nortoncomputerforpeace - electrowave - iperbolici '80. Un mix che scoppietta sul piatto, suona un preambulo di "disco" trentennale, quasi. Penso: recensione non mi avrai. Quasi 30, constato. 30 anni? Oltrepassati. Quasi 30. Ecco il collegamento, non l'ho cercato, è arrivato da sè. Questa musica è amara e vorrei farmi lavare dalle cascate che scendono oltre le persiane, mandare in corto il giradischi perchè sto realizzando cosa significhi essere robot. Macchina automatica, no anima - Giovanni Lindo periodo postpunk - altra musica - altre giornate. Una ragazza mi ricorda la Tabula Rasa che fece quel disco. Splendeva il sole e di lì a poco avrei ri-assaggiato l'amaro. Stacco per scavare un solco tra me e questi pensieri che mi fanno un po' impressione. E' passato un decennio e già avevo meno di 30 denti. Fuori forse non diluvia più. Dentro persiste.

giovedì 15 maggio 2008

Robinia pseudoacacia

Con un'incredibile predisposizione per la manipolazione di alimenti, ieri sera la mia ragazza e io ci siamo dedicati alla preparazione di frolle al limone e allo zenzero e di una bella torta di acacia. Non pensavo che l'acacia potesse essere un ingrediente così prezioso, io che l'ho sempre associata al miele e se c'è un alimento che mi dà nausea questo è il miele.
Invece no, perchè l'acacia si può anche friggere, volendo, in pastella per ricavarne morbide frittelle, oppure la si può impiegare nelle torte appunto, mischiando per bene 300 grammi di farina, 150 di zucchero, 75 di burro e altrettanti di olio d'oliva. E ancora 4 tuorli d'uovo e 4 albumi sbattuti a neve. Infine mezzo bicchiere di latte e voilà, l'impasto è pronto per inglobare i fiori d'acacia! Oh, non prendetemi troppo sul serio perchè non è che mi ricordi bene le dosi, ma più o meno è così! Un bel tortino rosso scuro, da far cuocere a 200 gradi per una mezzoretta, pronto da cospargere di zucchero a velo. Una délice.
Che poi, se proprio vogliamo dirla tutta, l'acacia al giorno d'oggi la trovi ovunque se ti viene da cercarla in primavera. In molti, compreso me fino a ieri, non la considerano neanche e si limitano ad annusarne l'aroma che si diffonde nell'aria dei boschi di robinia. E' incredibile quante meraviglie si nascondano dentro quei boccioli bianchi.
Ah! Robinia pseudoacacia, rimembro ancor il tuo sapore dolce...

PS: ma non è che ha effetti collaterali?

mercoledì 14 maggio 2008

Ancora palio

Pubblico un contributo di Damiano Franzetti (alfiere del rione Martitt) che spiega bene cos'era il Palio di Gemonio.

La scorsa primavera, uscendo dalla Sagra degli Asparagi, mi sono imbattuto in un gruppetto di persone che non ho riconosciuto per l’oscurità. Una voce spiegava alle altre: «Quello è il campo sportivo. Quando c’era il palio era il centro delle gare, era pienissimo di gente. Mi ricordo la “Torre di Babele: un ragazzo la costruiva con i mattoni, tre la difendevano, e gli altri dovevano abbatterla con i gavettoni, che spettacolo!»

Già, che spettacolo, Gemonio negli anni ’80. Lo aspettava tutto il paese, il Palio. A giugno (o a settembre a seconda delle edizioni) spuntavano dai balconi, dalle ringhiere, dalle finestre, le bandiere dei quattro rioni: Martitt giallo-verde, Mirabella giallo-rosso, Piazza bianco-azzurro, San Pietro verde-nero. Gli stessi colori iniziavano a fare capolino anche sugli striscioni tesi tra gli alberi, i pali della luce, le cancellate, messi lì a fare la guardia ai confini della propria contrada. Quei confini che a volte erano veri e propri motivi di conflitto tra i responsabili di rione durante le riunioni che precedevano la kermesse organizzata – è doveroso ricordarlo -dalla Pro Loco.

L’attesa. Tutto iniziava un mese prima: il campo sportivo era a disposizione di tutti, a rotazione; ogni rione faceva la conta dei propri concorrenti con un criterio prevalentemente basato sull’età dei partecipanti. Sembra di sentirli ancora oggi, i responsabili, davanti agli spogliatoi con una lista di nomi e date: «Martedì alle sei chiamiamo gli “under 11”: bisogna contare quelli per il calcio e scegliere quelli per la corsa nei sacchi. Ricordatevi di dirlo anche a quel bambino nuovo che è andato ad abitare nella casa del…». Poi c’erano gli allenamenti per gli adulti, che qualche volta “sfidavano” le squadre dei paesi vicini per meglio prepararsi agli incontri che contavano davvero, quelli del Palio.

Si gioca. Per aprire il Palio c’era la sfilata: i ragazzi calavano dai quattro angoli del paese rigorosamente dietro al labaro “ufficiale” con l’asta di metallo e la freccia decorata. Uno dei quattro cortei era di solito quello più guardato, con un misto di invidia e sfida da parte degli altri tre: il corteo che riportava al paese il Palio, la coppa. «Il Palio è nostro, e nostro resterà!» gridavano gli uni. «Vedremo» replicavano gli altri. E poi via: due settimane di giochi, gare, corse, sfide; due settimane di adrenalina che percorreva il paese intero visto le centinaia di persone di ogni età presenti intorno al campo sportivo, pronte a sperare in un gol, in uno sprint vincente, in un uovo lanciato (e preso) più lontano degli altri. E se gli sport veri e propri servivano ad accendere le rivalità agonistiche (certi incontri di calcio e pallavolo erano veri e propri eventi), i giochi rappresentavano la parte più popolare ma anche quella più imprevedibile del Palio. Vi ricordate la “Torre di Babele”, lo “Spalma e mangia”, il “Taglio del tronco”…?
Tutto durava fino alla serata conclusiva, la più lunga, la più attesa, quella in cui tutto poteva accadere. Sei, sette specialità una dopo l’altra; calcoli in tempo reale tra i tifosi, delusione per un “jolly” giocato male, fino ai calci di rigore femminili che hanno spesso concluso la manifestazione. Poi tutti schierati davanti al tavolo delle premiazioni, ognuno a ritirare una coppa per la gymkana o un trofeo per il vestirello, fino alla proclamazione del vincitore. Che dava il via ad una nottata di festeggiamenti cui comunque partecipavano anche gli sconfitti, costretti a subire il carosello di auto, moto e biciclette del rione vincitore. E anche qui mi tornano in mente alcuni festeggiamenti insoliti, a bordo ad esempio di un originale “cab” inglese (Martitt, 1985) oppure di una ondeggiante “2 cavalli” (Mirabella 1995). E al termine del rinfresco nel proprio rione era d’obbligo la visita ai vincitori, ben contenti di offrire da mangiare e da bere agli sconfitti.

E poi… Se il Palio era il momento centrale, l’attività dei rioni e della Pro Loco a Gemonio non si fermava qui. Il carnevale con i suoi carri, il Natale con luminarie e presepi, le cene sono stati momenti che per fortuna in parte sono ancora vivi. Alcuni rioni hanno partecipato per anni alle sfilate carnevalesche anche lontano da Gemonio riscuotendo consensi, in altri si ricordano ancora le cene del dopo-palio che radunavano in piazza oltre duecento persone. Su seicento “contradaioli” censiti: come se oggi a Gemonio si facesse una cena con novecento commensali contemporaneamente…

martedì 13 maggio 2008

Il dovere di arrabbiarsi

Ci sono ragazzi venuti dal sud, saliti su treni diretti alle fabbriche, agli atenei, alle piazze, ai grandi centri e a paesi lontani. A ricercarsi un futuro. Ragazzi dal volto scuro, i più con un padre in meno o una madre vinta da quell'immenso dolore. I sogni li hanno rinchiusi in uno zaino e se li portano in spalla gelosamente. Chi studia legge e farà il magistrato; chi lettere e insegnerà il vero alle generazioni future. Che c'era un'Italia, una volta, che li ha lasciati soli come i cani di strada. Con un proiettile scagliato nel cuore, un colpo di coda del mostro lupara. Inascoltati da uno Stato assente. Ci sono Chicco, Rosanna, Aldo seduti al tavolo. E molti altri nelle prime file. Tutti noi abbiamo la voce muta e li ascoltiamo con i cuori che non smettono di frastornarci l'anima. Sono giganti, questi ragazzi. Non hanno paura. La mafia è mimetica, predatrice, non fa rumore. Ma la Calabria è vicina. La Sicilia è vicina. La Campania è vicina. La Puglia è vicina. Non siete soli. Lo grideremo in strada. Non siete soli.

www.ammazzatecitutti.org

domenica 11 maggio 2008

festa festa!

Da un po' di tempo non mi capitava di partecipare a due feste nello stesso giorno. Ma non alla maniera dell'orchestrina di Fantozzi, che per poter essere a mezzanotte del 31/12 in più posti diversi si affidava allo stratagemma dell'orologio. Nel mio caso, senza trucco e senza inganno, sono passato da una festa di compleanno sul lago a base di birre e gin lemon pomeridiani a una rimpatriata gustosa e divertente a casa di amici. In entrambi i casi, sono avvenute delle incredibili magie: al lago, il mitico Paolino (un nome, una garanzia) ha affrontato con successo il rischiosissimo esperimento magico della levitazione delle tette, avvinghiandosi alla preda (una ragazza tedesca resa a sua insaputa protagonista dell'esperimento da parte della perfida amica) per la 65ma volta in carriera (in totale fanno 130 tette in 4-5 anni, non male). A casa di Gilda e Guido, mago Vittorio si è esibito in uno strabiliante susseguirsi di giochi di carte, apparizioni e sparizioni di monete e bicchieri, confermando la sua bravura e ancora una volta lasciando noi spettatori a bocca aperta. Sono certo che fra sette giorni a San Vincent straccerà tutti i suoi avversari! Grande Vittorio!

mercoledì 7 maggio 2008

Il giardino delle quindici pietre

Franti è il cattivo del libro Cuore, quello che rompe i vetri a fiondate. Così si presenta la cult band torinese nella scena punk italiana all’inizio degli ‘80. Con una poesia profonda intrisa nei testi e una miscela di punk, folk, jazz, hard-core e sperimentazioni ad accompagnare la voce irraggiungibile di Lalli.
Il Giardino delle Quindici Pietre è una storia trovata in giro, un luogo realmente esistente di cui nessuno ricorda i particolari. Ma è anche il romanzo mai finito di Stefano Giaccone dalla cui non fine nasce il disco, nelle sue uniche 1550 copie in vinile.

Un disco contaminato, rock per gli autori, in cui la polivalenza dei singoli costruisce un percorso misto, di poesia, recitazione e musica.
Cosa si nasconde nell’opera? Qual è la pietra che sfugge?
Un sottile filo di mistero perso in un senso di irraggiungibilità e irrealtà permeano questo album onirico. Dodici brani recitati e suonati scivolano in un letto di fiati-piano-parole-corde tirate all'estremo che si portano via i detriti dei nostri grovigli mentali. Tutto comincia con “Il battito del cuore”, rock-steady antico in cui i versi recitati da Lalli affiorano come un risveglio dall’inquietudine. Si prosegue con lo psycho-rock di “Acqua di Luna”, colonna sonora del video “Untreu” di Mimmo Calopresti e Claudio Paletto. “L’uomo sul balcone di Beckett” è un macigno scagliato dalla voce di Lalli verso i nostri animi intenti ad ascoltare versi, come ho sognato di sentire una chiave aprir la mia porta. “Every time” è un acid-blues che sfuma a fine lato A per riprendere quando giriamo il disco. Seguono brevi secondi di tributo ai Negazione, altra cult band dell’underground d’epoca. E ancora “Hollywood Army”, heavy-punk al modo dei Kina (l’altro gruppo dei primi vagiti punk italiani, insieme ai CCCP), con il suo seguito naturale “Big Black Mothers”, racconto hard-core in italiano e inglese. “Micro’ Micro’” ed “Elena 5 e 9” sono spazi per gli assoli di Lalli e del suo strumento-voce e di Giaccone che sembra smontare il sax procurandoci un brivido. L’ultimo brano recitato è “Nel giorno secolo”, marcia musicata di una poesia di Mario Boi a cui fa seguito “A suivre” che chiude il capolavoro con un duetto armonioso di piano e trombone.

Dopo l’ultima nota, quando il braccio meccanico ritorna in posizione off e il vinile si ferma, quando è girata l’ultima pagina del libro di poesie-racconti-testi-disegni b/w, che fa da contenitore e contenuto stesso dell’opera, quello che aleggia nell’aria è un pensiero, la quindicesima pietra che appare, un desiderio di scappare …via, lontano da qui.



















Il Giardino delle Quindici Pietre (Franti)
Blu-Bus/p.e.a.c.e. - 1986

il battito del cuore
acqua di luna
l’uomo sul balcone di beckett
every time … da Attica …
every time … a Soweto
ai “negazione”
hollywood army
big black mothers
micro’ micro’
elena 5 e 9
nel giorno secolo
à suivre


Il giardino delle quindici pietre è un luogo realmente esistente di cui però non ricordiamo più la storia nei suoi particolari né come l’abbiamo appresa.

In Giappone, nel periodo medioevale, un imperatore volle far progettare e costruire un giardino nella sua residenza, dall’architetto più famoso del paese. Dopo innumerevoli anni di lavoro l’architetto fece chiamare l’imperatore comunicandogli che il giardino era stato ultimato. L’imperatore rimase sconcertato: chiuso in un perimetro rettangolare in muratura, un piccolo giardino verdissimo era tutto il risultato di anni d’attesa. Sparsi però per il giardino vi erano dei massi enormi, conficcati nel terreno. L’architetto propose all’imperatore di contare le pietre. “Sono quattordici” egli rispose. Si spostarono poi in altri punti del giardino ed ogni volta l’architetto chiedeva al signore di contare le pietre. “Sono quattordici, ne sono sicuro”.
L’architetto prese allora un gesso ed iniziò a numerare i massi. Alla fine se ne contarono quindici. L’architetto spiegò al re che aveva posizionato i massi in modo tale che, da qualunque parte li si osservasse, se ne scorgevano solo e sempre quattordici, uno di meno di quelli realmente presenti.
(Storia trovata in giro)

martedì 6 maggio 2008

Il Palio

Era il 1990, le medie appena finite, notti magiche dentro le radio e negli stadi, nelle città e nei piccoli borghi della provincia italiana, quella dei bar che sulla scia degli '80 si portavano ancora dietro le briscole e le sedie colorate di plastica, in finto vimini. Anche lassù, fra le colline, nel bel mezzo delle Prealpi, proprio là c'era un paese in festa, dove le sedie gialle erano al "Pupulin" e il grande Peppo in piedi fra i tavoli, dove ancora si caricava a bastoni, a servire spume e a schiacciarmi occhiolini quando di frodo allungavo una mano tra i ghiaccioli alla menta.
Quel pomeriggio, mi aveva detto che un altr'anno ce l'avrei fatta senza discussioni a tagliare il traguardo per primo. E forse il vecchio Peppo esagerava o non aveva il senso della misura, questo sì e me ne accorsi quando più avanti morì di diabete, tanto che me ne occorsero altri tre di anni per vincere la "maratona". Non era New York, non era nemmeno la Strà Milano. Ma per un ragazzino dei Martitt portare la bandiera giallo-verde alta nel vento per tutta la salita finale e strappare scrosci di applausi e vincerla quella bestia di maratona del Palio, beh, valeva in pieno come alzare la coppa del mondo.
Eppure era ancora il '90 e quella vittoria un mio ambizioso pensiero, e quella sera la piazzetta si riempì in un attimo come ogni volta. Perchè in quei giorni a Gemonio non erano i mondiali a riempire le vie, ancora acerbi ai primi di giugno, quando l'Italia se la vedeva con l'Austria e Baggio e Schillaci erano in fase di riscaldamento. C'era un paese lassù e proprio lì passava una festa diversa, paesana, pura e multicolore, una festa a quattro condivisa per quindici giorni da centinaia di persone. Questo era il Palio. E tra le vie bardate del mio paese, si allungavano striscioni-gonfaloni-bandiere dei quattro rioni. E “giù al campo”, durante le gare, c’erano trombe da stadio - lo giuro - e coriandoli fatti con i pezzi di giornale, come a San Siro o al Comunale. Come sempre si terminò nel tripudio, non ricordo bene neanche se fossimo noi, quelli della "biscia", i vincitori, o forse i rivali di sempre, San Pietro o la Piazza o l'inesperta che sarebbe diventata regina negli anni a venire, la Mirabella. E in piazzetta Martitt si festeggiava ancora come lo si era fatto per tutti gli '80. E c'erano tutti, ragazzini già brilli, uomini e donne ai tavoli a tagliare torte enormi e a stappare bottiglie, Spumador e spumanti a colmare le coppe d'ottone fresche di premiazione.
L'ultima sera del Palio è rimasta incastrata nei miei ricordi e quando la trovo mi viene sempre voglia di ripescarne un dettaglio, un tragicomico particolare. Come quello di Gianluca R, al secolo Sampei, colto dal sonno sul muretto di Via Trento e recuperato dai passanti la mattina dopo; o come il bagno in mutande nella fontana di Cosimo P detto Cocò; o le spedizioni festose della carovana dei vincitori nei cortili avversari a suon di claxon e bevute, in barba all’età scolare.
Questo e altro era il Palio. Questo e altro la sua ultima sera, che si sarebbe poi ripetuta. Ma forse l’età o gli esplosivi novanta se la sarebbero portata via, ma non per sempre.
Chiudo gli occhi e ci penso.

lunedì 5 maggio 2008