appena nato dalla parte di sotto, questo blog è un inno alla parte sbagliata. quella che riguarda un po' tutti, bene o male. ma senza pretese

martedì 7 settembre 2010

Lettera a un amico colto da pericolosa deviazione a destra a seguito di sua preoccupante dichiarazione d'amore per il lupo nero

Ill.mo Dottor S.,

mi duole non poter inserire la K al posto della C nel proprio cognome a conseguenza della sua "coraggiosa" direi missiva.

Mi meraviglia la Sua propensione verso i desertici lidi destrorsi, la facevo molto più combattivo per la difesa della coerenza, sentimento di cui l'amata patria avrebbe sinceramente bisogno come l'aria, compreso il neo leader Fini, sicuramente uomo di pregevole fiuto, ma per gli interessi suoi e soltanto suoi.

Una volta capito, il Lupo, che il suo ormai ripudiato Kapo non gli avrebbbe concesso i benefici tanto promessi con la fusione dei partiti, ora mostra la dentatura canina che lo ha sempre contraddistinto.

Urge al pari specificare che non è certo coerente pure la finta sinistra paesana, la quale sproloquia a proposito di valori da difendere dimenticando, come per l'appunto ha sottolineato Lei Dottor S. nella Sua missiva, di onorare (sì, utilizzo gergo impropriamente violentato da alcuni fascisti ignoranti del significato del termine) un uomo che, destra o sinistra che egli abbia rappresentato, era comunque un uomo con il valore della legalità.

La finta sinistra che ci vorrebbe rappresentare è anche dichiaratamente scesa a patti con la volpe nera, agendo allo stesso modo in cui i promessi sposini si lanciano nell'avventurosa esperienza nuziale, trascurando ciascuno la propria repulsione verso le convinzioni sacre per il futuro coniuge (c'è chi si sposa senza condividere ad esempio la volontà di avere figli o negando all'evidenza del prete le proprie manie che lo opporrebbero al prossimo compagno/a di vita ma solo per una maschera da portare all'altare).

La sinistra italiana è morta da tempo e tutti noi sognamo un nuovo Pertini in grado di risollevare anche solo con la fermezza delle sue parole le sorti del Paese, a difesa dei giovani, dei meno abbienti, dei disoccupati.

Dovendomi fermare con i riferimenti a un livello più basso, senza raggiungere l'apice della scala politica italiana, riconosco a oggi una sola persona in grado di far pensare all'Italia non più come a una terra depredata della propria intelligenza a beneficio dello squallore politico-sociale, bensì come un posto a cui tornare, il luogo in cui condividere il valore della libertà, la casa-patria dei suoi figli destinati alla fuga, la Patria tanto amata dal nostro Presidente Sandro Pertini e deturpata dall'uso del termine stesso da parte di uomini che l'hanno resa un pollaio, un ovile, una tribù.

Esiste a mio avviso un solo uomo oggi, come dicevo, in grado di fare ciò e questi risponde al nome di Niki Vendola il quale, a dispetto di ogni forma di pregiudizio, ha saputo convincere molti uomini di ogni idea politica della propria bontà intellettuale e volontà politica del costruire.

Purtroppo il constatare la Sua sterzata a destra mi fa rimanere male Ill.mo Dottor S.; La invito pertanto a meditare sulla stoltezza della Sua, lei pensa "libera", scelta e a dirigere la rotta verso spiagge meno vulcaniche e intellettualmente meno desertiche.

Forza Dott. S., siamo tutti con Lei , non molli (anche questo termine è usurpato da taluni esponenti della Loro destra).


Con la massima stima,


Dott. C.

venerdì 28 maggio 2010

Volevi solo aspettare la sera (per la ragazza che ho ucciso)

Mi ero appena trasferito in una zona molto tranquilla della città, poco distante dal centro dove avevo trascorso la maggior parte del mio tempo fino ad allora. Dicevano che quel terreno fosse inquinato, che vi fossero stati scaricati per anni ettolitri di veleno a conferma di quanto mi raccontò mio nonno poco tempo prima di andarsene. Eppure l’avevano sistemata, e quell’area morta era diventata parco, qualche edificio e molta vegetazione gonfia, brillante e insospettabilmente finta. Ma non si stava male. Quando, lasciata la casa dei miei genitori, avevo deciso di darmi libertà, ero stato colpito subito da quel verde a poca distanza dal cemento e dal traffico. E il borgo tutto sul rosso con cui gli architetti avevano spartito il lotto sei, mi era sembrato il più adatto ai miei gusti perché aveva case isolate, l’ultima delle quali sul lato più ombroso e seminascosta da una coppia di alberi ad alto fusto e un cortile che dava direttamente sul lago.
Aspettavo in giardino, rilassato, la scomparsa del giorno, immerso nelle luci di un tramonto che non finiva mai. Non sapevo da dove veniva, glielo avrei chiesto più tardi se ci fosse stato concesso. Ma Alice quella sera aveva già il colore del bosco che le copriva la pelle, come se si volesse fondere a lei. Era scura eppure brillava e la luce del sole impazzito sulle porte della notte la contornava come se fosse una figura magica.
La invitai da me, appena ebbi la possibilità di parlare. Prima no, ero imbalsamato. Impossibile distogliere lo sguardo prima, dal corpo che si era fermato ad ammirare il bosco allagarsi del viola del vespro. E nella pozza di acqua rimasta dalle ultime piogge le avevo colto il dettaglio del viso rapito e immobile e delle labbra schiuse a recitare qualcosa, credo un’invocazione per il miracolo della sera che si sarebbe compiuto ancora.
Così, dopo averla ammirata, e disciolta ogni mia residua virilità di uomo solitario, senza altro chiedere alla mia anima, sentii il bisogno di rimanere in sua compagnia. Nulla più che qualche ora di amore violento, io e lei complici dello stesso schiaffo con cui il mio sguardo l’aveva colpita. Un po’ padroni, in parte prede dell’altro, come per dividerci la colpa di una scelta per nulla razionale. Lei e io, seminudi nel nostro essere assetati di fragili certezze. Questo mi immaginavo, un’illusione di comprimere e invece ero io del tutto impalpabile a me stesso, con l’anima nera e senza possibilità se non quella di rendermi all’altro oltre la dimensione superficiale. Perché non ero io l’animale, ma solo il suo desiderio, e lei non sapeva. Voleva solo aspettare la sera e fuggire via come fa la luce dal giorno.
L’avrei afferrata di lì a poco, da fuori a dentro, senza badare al tatto. La scelta della preda è istinto, follia rilasciata dai propri sensi profondi. Decisione che chiede al cervello, trapassa il cuore, le vene , i muscoli e si rovescia intorno. Come una macchia di inchiostro che è impossibile fermare. Così mi sei apparsa, indomabile al controllo meschino di un uomo che scaglia la rabbia da sé, ma diventa pietra. Quando i tuoi occhi hanno imposto ai miei di cercargli il dolore nel fondo, noi due, immersi nella vegetazione lacustre, ci scioglievamo nell’acqua. Non ho temuto di farti male, ti ho solo afferrata seguendo l’onda della mia vena possessiva, solo per prendermi cura del tuo contorno illusorio, teso a scomparire. Più ti stringevo, più diventavi parte della mia mente e mi regalavi l’anima, eppure il corpo era diventato ghiaccio e di lì a poco fluido, vittima del mio calore meschino.
Dissero che eri morta. Ti ritrovarono gonfia e nera, a pochi metri dalla riva di quella pozza mutata in lago di profondo viola. Ti trovarono immobile, con le labbra schiuse come per sussurrare alla luce che non doveva tornare. Che non volevi amore, questo non lo sapevo. Volevo solo tenerti nel cuore, perché di lui eri il sangue e l’ossigeno e la stessa carne che lo componeva. Volevi restare sola, ad ammirare il colore infrangersi nel quadro della sera, in quella zona morta e finta e ancora viva se mi fermo a osservarla dal fondo del mio dolore.
(Tema: il dolore)