Mi ero appena trasferito in una zona molto tranquilla della città, poco distante dal centro dove avevo trascorso la maggior parte del mio tempo fino ad allora. Dicevano che quel terreno fosse inquinato, che vi fossero stati scaricati per anni ettolitri di veleno a conferma di quanto mi raccontò mio nonno poco tempo prima di andarsene. Eppure l’avevano sistemata, e quell’area morta era diventata parco, qualche edificio e molta vegetazione gonfia, brillante e insospettabilmente finta. Ma non si stava male. Quando, lasciata la casa dei miei genitori, avevo deciso di darmi libertà, ero stato colpito subito da quel verde a poca distanza dal cemento e dal traffico. E il borgo tutto sul rosso con cui gli architetti avevano spartito il lotto sei, mi era sembrato il più adatto ai miei gusti perché aveva case isolate, l’ultima delle quali sul lato più ombroso e seminascosta da una coppia di alberi ad alto fusto e un cortile che dava direttamente sul lago.
Aspettavo in giardino, rilassato, la scomparsa del giorno, immerso nelle luci di un tramonto che non finiva mai. Non sapevo da dove veniva, glielo avrei chiesto più tardi se ci fosse stato concesso. Ma Alice quella sera aveva già il colore del bosco che le copriva la pelle, come se si volesse fondere a lei. Era scura eppure brillava e la luce del sole impazzito sulle porte della notte la contornava come se fosse una figura magica.
La invitai da me, appena ebbi la possibilità di parlare. Prima no, ero imbalsamato. Impossibile distogliere lo sguardo prima, dal corpo che si era fermato ad ammirare il bosco allagarsi del viola del vespro. E nella pozza di acqua rimasta dalle ultime piogge le avevo colto il dettaglio del viso rapito e immobile e delle labbra schiuse a recitare qualcosa, credo un’invocazione per il miracolo della sera che si sarebbe compiuto ancora.
Così, dopo averla ammirata, e disciolta ogni mia residua virilità di uomo solitario, senza altro chiedere alla mia anima, sentii il bisogno di rimanere in sua compagnia. Nulla più che qualche ora di amore violento, io e lei complici dello stesso schiaffo con cui il mio sguardo l’aveva colpita. Un po’ padroni, in parte prede dell’altro, come per dividerci la colpa di una scelta per nulla razionale. Lei e io, seminudi nel nostro essere assetati di fragili certezze. Questo mi immaginavo, un’illusione di comprimere e invece ero io del tutto impalpabile a me stesso, con l’anima nera e senza possibilità se non quella di rendermi all’altro oltre la dimensione superficiale. Perché non ero io l’animale, ma solo il suo desiderio, e lei non sapeva. Voleva solo aspettare la sera e fuggire via come fa la luce dal giorno.
L’avrei afferrata di lì a poco, da fuori a dentro, senza badare al tatto. La scelta della preda è istinto, follia rilasciata dai propri sensi profondi. Decisione che chiede al cervello, trapassa il cuore, le vene , i muscoli e si rovescia intorno. Come una macchia di inchiostro che è impossibile fermare. Così mi sei apparsa, indomabile al controllo meschino di un uomo che scaglia la rabbia da sé, ma diventa pietra. Quando i tuoi occhi hanno imposto ai miei di cercargli il dolore nel fondo, noi due, immersi nella vegetazione lacustre, ci scioglievamo nell’acqua. Non ho temuto di farti male, ti ho solo afferrata seguendo l’onda della mia vena possessiva, solo per prendermi cura del tuo contorno illusorio, teso a scomparire. Più ti stringevo, più diventavi parte della mia mente e mi regalavi l’anima, eppure il corpo era diventato ghiaccio e di lì a poco fluido, vittima del mio calore meschino.
Dissero che eri morta. Ti ritrovarono gonfia e nera, a pochi metri dalla riva di quella pozza mutata in lago di profondo viola. Ti trovarono immobile, con le labbra schiuse come per sussurrare alla luce che non doveva tornare. Che non volevi amore, questo non lo sapevo. Volevo solo tenerti nel cuore, perché di lui eri il sangue e l’ossigeno e la stessa carne che lo componeva. Volevi restare sola, ad ammirare il colore infrangersi nel quadro della sera, in quella zona morta e finta e ancora viva se mi fermo a osservarla dal fondo del mio dolore.
(Tema: il dolore)
appena nato dalla parte di sotto, questo blog è un inno alla parte sbagliata. quella che riguarda un po' tutti, bene o male. ma senza pretese
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Molto bello, suggestivo e poetico. Forse un po’ troppo, suggestivo e poetico? Qua e là si viene a creare un effetto di saturazione e di sovraccarico che rischia un po’ di soffocare lo scritto invece di dargli respiro. Sembri un pittore che vuole usare tutta la tavolozza: sottrai qualche colore e ti avvicinerai alla perfezione.
Tornerò a leggerti.
Ciao.
p.s. quasi imbarazzato per la gentilezza con cui mi celebri, mettendo persino l’audio dell’intervista che non c’è neanche nel mio, di blog… Grazie! :D
Posta un commento